L'ambiente culturale dei giovani a Trieste
Parte III


Segue da "parte II"

Provate a chiedere ad un diciottenne o ventenne quali progetti abbia a scadenza di tre, quattro o cinque anni. Se togliete lo studio o un campionato sportivo da vincere c'è il vuoto. Sono pochissimi quelli che hanno in mente un obiettivo di crescita personale, che stanno compiendo un percorso formativo che si concluderà tra qualche anno e che, qui sta il punto, appena tra qualche anno darà i suoi frutti. Perché?

Ecco qui un altro punto che vorrei far emergere e che in qualche modo completa il quadro tracciato finora. La caratteristica prevalente delle esperienze di fede dei giovani - ma forse delle loro esperienze più in generale - non è solo la periodicità, ma anche la concentrazione. Un'esperienza intensa dai due ai dieci giorni attrae molto di più rispetto ad un cammino fatto di un paio di ore settimanali che duri tutto l'anno. C'è una richiesta crescente di esperienze coinvolgenti, esaltanti e dai risultati sicuri in breve tempo. Questi tipi di proposte sono le più gettonate perché rispondono alla cultura dominante, che è appunto fatta di promesse richieste di risultati in tempi brevi. E se i risultati non arrivano? Si cambia, con facilità e rapidità. Anche questo è un fenomeno ben noto tra i giovani delle nostre parrocchie, una sorta di turismo formativo in cerca della proposta che offra più risultati nel minor tempo possibile. Manca allora la capacità di progettare perché manca la disponibilità all'investimento, ad un impegno con scadenze lunghe intervallate da tempi di lavoro intenso e non da tempi di attesa passiva. Anche qui si riflette il problema della separatezza che caratterizza il modo di essere della "generazione del tempio": il lavoro su se stessi e sul proprio ambiente presenta dei tratti che poco hanno a che vedere con il modo di vivere la fede che stiamo osservando; è un lavoro silenzioso, spesso solitario, che porta frutti sulla lunga distanza; al contrario l'esperienza di fede dei giovani è sempre più caratterizzata dalla straordinarietà, dal trasporto della folla, dalla ricerca della novità.. Ancora una volta fede e vita si allontanano e non trovano più un terreno di dialogo.

Fin qui abbiamo visto alcuni tratti della mentalità dei giovani che ho chiamato "generazione del tempio". Credo che fare cultura significhi soprattutto promuovere modi di pensare ed atteggiamenti conseguenti; perciò, in questa prima parte, ho insistito sulla mentalità prevalente che emerge dall'osservazione dell'ambiente giovanile. Una mentalità, cioè un modo di vedere la realtà e di affrontarla, matura e si radica lentamente ed altrettanto lentamente si modifica. Se l'intoppo nel passaggio tra fede e vita è effettivamente una questione di mentalità, dovremo riconoscere che ci attende un lavoro di molti anni prima di poter vedere dei giovani cristiani capaci di essere presenti nella cultura in modo incisivo. Soprattutto dovremo avere il coraggio di investire in progetti formativi di lunga gittata.
Proviamo allora a richiamare i nuclei del percorso che abbiamo fatto finora. Credo che i passaggi si possano sintetizzare in questo modo:
1. Il nerbo della questione culturale, almeno relativamente all'area giovanile, è il passaggio tra l'esperienza di fede e la vita quotidiana.
2. Nella maggior parte dei giovani si può osservare che questo passaggio o non avviene o è molto difficoltoso.
3. Questa difficoltà è attribuibile fondamentalmente ad una questione di mentalità, che abbiamo analizzato brevemente osservando la "generazione del tempio". Questa mentalità è caratterizzata da una visione separata dei tempi della fede e della vita. Questa stessa mentalità è alle volte involontariamente promossa da esperienze formative e di fede che privilegiano aspetti come l'eccezionalità, la periodicità, il trasporto emotivo e la novità, tutti aspetti che al contrario non caratterizzano l'esperienza ordinaria lavorativa o di studio.
4. La mentalità della separatezza condiziona pesantemente la presenza nella ferialità e dunque il fare cultura nei tempi e negli ambienti "altri" rispetto a quelli riservati alla fede. Attenzione: il giovane che cresce con questa mentalità non ha gli strumenti per porsi il problema di una presenza nella cultura, nel tessuto cittadino; la "separatezza" gli sembra cosa ovvia e del tutto normale!

I giovani e la cultura: segue la parte IV